Luigi Fantini
La sua ricerca in tutta la Valle e oltre
testo di Claudio Busi
Luigi Fantini è un personaggio profondamente legato al territorio bolognese, un vero figlio della Val di Zena. Parlare di Lui in maniera approfondita significa impegnarsi in un lavoro assai complesso e piuttosto difficile che ha richiesto la realizzazione di un volume dalle molte pagine. Questo perché gli interessi di Fantini, uomo dal carattere poliedrico ed esuberante, spaziavano verso un numero incredibile di argomenti diversi.
Egli nasce nel 1895 nella casa “I Gessi”, situata a un tiro di schioppo dalla Grotta del Farneto, ed è proprio a Fantini che va riconosciuto il merito di aver impedito che la figura di Francesco Orsoni andasse dimenticata e perduta fra le pieghe della storia. Negli anni ‘30 del Novecento ha la lungimiranza di avviare un’intensa serie di ricerche su Orsoni in un’epoca in cui alcune persone che lo avevano conosciuto erano ancora in vita, ottenendo così notizie biografiche di prima mano. In quegli anni Luigi Fantini raccoglie idealmente il testimone lasciato da Orsoni e con un approccio del tutto personale prosegue ed estende le ricerche sul territorio in maniera continua e capillare.
Fin da bambino, nonostante le umili origini, ma sempre sostenuto e incoraggiato dal padre Enrico, si appassiona al mondo che lo circonda in modo assai profondo: ricordi familiari riportano che anche sul letto di morte Fantini tenesse un manufatto preistorico, una magnifica amigdala, sotto il cuscino.
Da semplice boscaiolo che conosce a menadito ogni anfratto del territorio in cui è nato, la Grotta del Farneto diventa per lui una vera palestra di apprendimento. Nel 1932 Fantini, col conforto di alcuni giovani appassionati, fonda il Gruppo Speleologico Bolognese, associazione fra le prime in Italia e che ancora oggi, dopo l’atto federativo con l’Unione Speleologica Bolognese, prosegue con lusinghieri risultati la sua attività.
La prima pubblicazione di Luigi Fantini del 1934 e ritratto nella grotta della Spipola
Fin dal 1924 Fantini compie alcuni ritrovamenti di capitale importanza per la paletnologia del bolognese: a pochi passi dall’ingresso della Grotta del Farneto si imbatte in una serie di manufatti preistorici scivolati dalla parete rocciosa interessata dai lavori di cava per l’estrazione del gesso. Quei primi reperti, fra i quali una splendida punta di freccia in selce rossa che più tardi diventa il simbolo distintivo del GSB, lo spingono a tenere sotto stretta sorveglianza la zona. Tale attenzione gli consente, nel corso di diversi anni, il recupero di una copiosa quantità di ossa umane che provengono da una sorta di cavernetta messa in luce sulla parete dalla cava stessa. Gli studi su quella scoperta, passata alla storia col nome di “Sottoroccia del Farneto”, dimostrano come la zona fosse stata abitata e frequentata dall’uomo preistorico circa un millennio prima delle genti vissute nell’Età del Bronzo che occuparono la vera e propria grotta scoperta da Francesco Orsoni nel 1871. Quando attorno al 1966 si esauriscono i ritrovamenti di ossa nel Sottoroccia e si effettua una valutazione complessiva del deposito archeologico, emerge il fatto che i reperti umani, associati a manufatti di epoca eneolitica, appartengono all’incirca a 45 individui, vissuti, morti e sepolti nel riparo rupestre della Val di Zena.
In concomitanza alle ricerche preistoriche proseguono quelle speleologiche del GSB e anche in questo settore i risultati ottenuti sono eccezionali e fanno conoscere Fantini nel mondo della speleologia nazionale. La scoperta principale è quella della Grotta della Spipola alla Croara, a cui segue l’individuazione di decine e decine di altre cavità disseminate nella fascia collinare dei Gessi Bolognesi che si estende da Zola Predosa nei pressi del torrente Lavino a Castel de’ Britti sul fiume Idice.
Fantini mentre analizza le ghiaie inglobate nell’arenaria del Monte delle Formiche
In quegli eccitanti anni precedenti la Seconda guerra mondiale l’attività di ricerca di Luigi Fantini raggiunge livelli quasi frenetici. Con grande lungimiranza capisce l’importanza costituita dalla documentazione delle antichità presenti nella sua terra: da questa consapevolezza all’avvicinamento al mondo della fotografia il passo è breve. Desideroso di impadronirsi delle tecniche fotografiche, acquista una fotocamera a lastra e con questa (seguita da un altro paio negli anni successivi) realizza un nutrito archivio di immagini di qualità eccezionale. Ricordiamo le stupende fotografie scattate con l’uso dell’illuminazione al magnesio dei vasti ambienti sotterranei della Grotta della Spipola e delle altre grotte prospicienti la Val di Zena che si aprono nella Buca di Ronzano e nella Buca di Gaibola. Fantini è attratto da altre particolarità del territorio bolognese: consultando le pubblicazioni degli studiosi dell’Ottocento, come Giovanni Capellini e Luigi Bombicci, inizia metodicamente l’esplorazione delle stratificazioni geologiche di tutta la provincia. Con questa indagine è in grado di recuperare un’interessantissima serie di fossili e minerali. Dalle stratificazioni fangose delle grotte bolognesi estrae decine e decine di infiorescenze di gesso e di trasparentissima selenite. Sui calanchi di Monte San Giovanni e Monteveglio porta alla luce una quantità di septarie geodiche (concrezioni rocciose di forma rotondeggiante, il cui nucleo può essere cavo e contenere cristalli di varia natura), alcune delle quali di enormi dimensioni. A Paderno individua parecchi esemplari della cosiddetta “pietra fosforica”, la baritina, già ricercata dagli eruditi dal 1700. Nei depositi montani di Porretta Terme trova meravigliosi cristalli di quarzo. Nelle stratificazioni arenare della bassa Val di Zena recupera una quantità di “botroidi”, agglomerati sabbiosi dalle forme più strane, oggi esposti nel Museo dei Botroidi di Tazzola situato ai piedi del Monte delle Formiche.
Nel suo lungo peregrinare, Fantini sempre più spesso è attratto dalle secolari abitazioni montanare, dai semplici fabbricati colonici abitati dai poveri contadini alle antichissime “case torri” sparse un po’ dovunque sull’Appennino, appartenute spesso alla piccola nobiltà fiorita fra il Medioevo e il Rinascimento. Silenti testimoni di vicende ormai dimenticate, questi edifici, costruiti con rara maestria dai famosi Maestri Comacini, diventano oggetto di una ricerca particolare. Parecchi risultano in precarie condizioni di conservazione e Fantini comprende che a lungo andare scompariranno irrimediabilmente. Per questo a partire dal 12 febbraio 1939, con la sua fedele fotocamera Zeiss a lastre, inizia un lunghissimo e paziente lavoro di documentazione che durerà più di trent’anni. Questo impegno gli permette di documentare strutture che oggi non esistono più, distrutte dal trascorrere del tempo e dall’incuria degli uomini aggravata dai terribili anni di bombardamenti della Seconda guerra mondiale. L’immane lavoro si concretizza con la realizzazione di centinaia e centinaia di scatti che costituiscono la base per la prestigiosa pubblicazione in due volumi dal titolo Antichi Edifici della Montagna Bolognese che vede la luce nel 1972.
Fantini sulla porta della casa natale al Farneto e mentre fotografa con la sua macchina fotografic a lastra sotto il Monte delle Formiche
Di quelle escursioni fra i monti e le valli dell’Appennino, sovente in compagnia di suo nipote Enrico, Luigi Fantini registra alcuni aneddoti veramente divertenti occorsi mentre fotografava le antiche case. I vecchi montanari, ad esempio, indicavano in dialetto Fantini come “al fotografésta!”:
«… ed alle Lagune, parrocchia sui monti di Sasso Marconi, mentre una domenica mattina stavo per ritrarre un’antica torre, incorporata in una
casa nella piazza del paese, gremita di villici, udii dietro di me un vecchio che diceva ad alcuni compagni: Lu lé, con la scusa dal ritrat, an guardarà mija induv a jé al pulér?! Sentita l’antifona, stimai cosa molto saggia ripiegare armi e bagagli e, vagato un po’ per la piazza per darmi un contegno, me ne partii alla chetichella…»
Certo che l’immagine di un Luigi Fantini che fingendo di fotografare si introduce in un pollaio per poi fuggire a gambe levate con due galline sotto il braccio è di una comicità assoluta!
Nel tempo parecchi esemplari dei suoi ritrovamenti vanno ad arricchire le collezioni di alcuni musei e istituti scientifici italiani. A Bologna ne beneficiano il Museo Civico Archeologico, il Museo di Mineralogia “Luigi Bombicci” e il Museo di Antropologia dell’Università; a Ferrara il Museo di Paleontologia e Preistoria, a Firenze il Museo Nazionale di Antropologia ed Etnologia di Palazzo Nonfinito.
Gli anni ‘60 segnano un’evoluzione della ricerca paletnologica fantiniana. Egli concentra le sue ricerche sulle antichissime formazioni di ghiaie a puddinga inglobate nelle balze a strapiombo presenti nelle falesie arenacee che si estendono da Livergnano al Monte delle Formiche. La quota in cui si trovano è per lui un’ulteriore prova di un deposito dall’antichità impressionante, forse di milioni di anni. Da quelle stratificazioni estrae diversi ciottoli silicei appena sbozzati e molto fluitati. Quei semplici reperti inducono in Fantini la convinzione che si tratti di una lavorazione su ciottolo realizzata dai primi ominidi che vissero nella nostra regione in tempi lontanissimi.
La segnalazione di quei ritrovamenti viene riportata anche sulla Carta Geologica d’Italia compilata dall’Istituto di Geologia dell’Università di Bologna dell’Emilia e Romagna, nella quale si cita il Monte delle Formiche come luogo d’origine di strumenti del Paleolitico inferiore inclusi in un deposito del Pliocene superiore.
In diverse pubblicazioni Fantini divulga le sue scoperte corredate dalla teoria che ha elaborato sulla loro origine. Ben presto anche la scienza ufficiale inizia a interessarsi della questione ma subito si scatenano serie polemiche fra chi ritiene corrette le valutazioni di Fantini e chi invece le nega decisamente. A causa di queste critiche e contrasti Fantini prova grande amarezza e tutt’oggi la questione resta irrisolta.
La vite centenaria scoperta dal Fantini nel 1965
Gli anni passano e Fantini viene insignito di varie onorificenze, fra cui la nomina a Conservatore Onorario per la Soprintendenza alle Antichità dell’Emilia e Romagna, e viene accolto come socio, grazie all’appoggio dei professori Carlo Alberto Blanc di Roma e Paolo Graziosi di Firenze,
all’Istituto Italiano di Paleontologia Umana, il che fu per lui il riconoscimento più importante. Il Gruppo Speleologico Bolognese, da lui fondato tanti anni prima, lo nomina nel 1965 Presidente perpetuo. In una memorabile serata organizzata alla Gotta del Farneto, in occasione del compimento del suo settantesimo anno di età, viene festeggiato a lungo dagli speleologi i quali per celebrare l’evento appongono all’ingresso una targa commemorativa dedicata a Francesco Orsoni, lo scopritore della grotta, di cui Fantini è stato il principale biografo.
Anche se ormai ultra settantenne è possibile incontrare Luigi Fantini nella sala preistorica del Museo Civico di Bologna. Qui, in bella mostra, ci sono le vetrine coi manufatti da lui raccolti con tanta passione. Egli suole fare da cicerone alle numerose scolaresche che visitano il Museo e nonostante l’età avanzata è sempre animato da una “verve” tutta particolare. I suoi racconti sono farciti da un’infinita serie di aneddoti assai divertenti che spesso narra in dialetto con frasi di sicuro effetto.
L’opera pionieristica di Fantini ha segnato un’epoca ben precisa della ricerca naturalistica e storica di Bologna e del suo territorio. Le sue intuizioni, le sue scoperte, i suoi scritti e le sue fotografie sono a disposizione di chiunque voglia comprendere fino in fondo l’irripetibile stagione che lo vide protagonista.
Fantini nel suo studio
Luigi Fantini, ormai invecchiato e tormentato dalla malattia, si spegne il 12 ottobre 1978 e al suo funerale, celebrato nella prediletta chiesina di San Lorenzo del Farneto, partecipa una nutrita rappresentanza dei Gruppi Speleologici e naturalistici bolognesi. Nell’ultimo viaggio egli percorre ancora una volta l’amatissima Val di Zena, diretto al piccolo cimitero del Monte delle Formiche.
In quella valle aveva compiuto i primi passi e lì, in un giorno d’autunno, si conclude il suo cammino terreno. Oggi le spoglie mortali di Luigi Fantini riposano in seno alle sue montagne, quelle montagne alle quali aveva dedicato tutta l’opera della sua vita.